Oggi mi sforzerò di portare avanti un discorso essenziale nello stile e razionale nelle argomentazioni, anche se abbandonare metafore e similitudini assurde mi costa – e mi annoia – un poco.
Il tema è universale: come si valuta in generale un progetto? Non credo di sollevare grosse obiezioni se affermo che un buon progetto deve soddisfare a cascata tre criteri: utilità, efficacia, efficienza.
Esempio semplice semplice (l’unico, giuro): il progetto è “sfamare un amico a cena”.
Se investo il mio budget per comprargli una sciarpa, non avrò soddisfatto il criterio di utilità, quindi ogni altra valutazione è superflua: il mio amico ha fame e io, forse, un principio di demenza.
Se gli compro una bistecca, e lui è vegetariano, avrò fatto un acquisto in teoria utile ma non efficace: il mio amico di animali morti nel piatto non ne vuole, quindi resterà digiuno.
Se investo il mio budget (solitamente risicato) per saccheggiare un campo di pomodori da 10 ettari e rilevare due panetterie, e finisco a preparare una bruschetta lunga 3km, la mia azione sarà stata utile (la bruschetta si mangia) efficace (ci sono buona probabilità che il mio amico riuscirà a sfamarsi) ma di certo non efficiente. Con le stesse risorse avrei nutrito per sei mesi un villaggio del Bangladesh, mentre ora ho un amico con l’indigestione e un grosso problema di conservazione.
Insomma, stilare un progetto con tutti i crismi è una bella rottura di palle. Per soddisfare i tre criteri bisogna raccogliere informazioni, valutare pro e contro, impiegare competenze. Pochissimi progetti ci riescono: la maggior parte di essi sono utili sulla carta ma inefficaci; altri ancora sono utili e in parte efficaci ma si rivelano essere uno spreco assurdo di risorse rispetto ai benefici.
E poi c’è lui: il “Progetto Danno”. Una specie in preoccupante espansione che non soddisfa nessuno all’infuori dei progettisti e delle ditte che si aggiudicano l’appalto.
Oggi, per pura combinazione, vi parlerò di un progetto infrastrutturale legato alla ciclabilità: la ciclabile di Viale Tunisia a Milano. Definirlo un progetto danno forse è ingeneroso ma la qualità generale dell’infrastruttura non è certo degna di una città appena premiata col “Transport Achievement Award”, per diverse ragioni.Per snocciolarle con cognizione di causa e avvalorare le mie perplessità, ho consultato un paio di esperti di mobilità che preferisco non citare.
Partiamo dalla base: si tratta di un progetto di piste ciclabili monodirezionali separate, una per senso di marcia. Stando alle informazioni di cui disponiamo, sarebbero 750 metri di lunghezza con un costo di realizzazione pari a circa 800.000 euro. Poco più di mezzo chilometro, poco meno di 1 milione.
Pur nutrendo significative perplessità rispetto alle scelte progettuali adottate, che appaiono poco in linea con i principi della Mobilità Nuova, in questo frangente eviteremo di entrare nel merito del modello di ciclabilità proposto, limitandoci a discutere solo due aspetti con cui ogni progetto stradale deve fare i conti: la messa in sicurezza della strada e i costi di realizzazione.
Facendo due calcoli veloci, il costo di questa infrastruttura sarebbe di circa 1.000.000 di euro al Km (un milione, per chi non ha voglia di contare gli zeri). Se non bastasse il buon senso per intuire l’assurdità di tale cifra, ci viene incontro tutta la manualistica italiana ed europea, secondo la quale il costo di una pista ciclabile separata in ambito urbano dovrebbe essere massimo 300.000 euro al Km. Parafrasando un Lubrano d’annata, la domanda sorge spontanea: a cosa sono dovuti questi 700.000€ in più? È possibile e sostenibile sviluppare la ciclabilità urbana a questi costi? La risposta, in tempi aridi di spending review e patti di stabilità, è fin troppo ovvia.
Facciamo un esempio: Hep Monatzeder, vicesindaco del comune di Monaco di Baviera, ha recentemente raccontato del progetto di marginalizzare l’uso dell’automobile proprio nella città della BMW: obiettivo è arrivare nel 2025 ad avere una quota di spostamenti in automobile in centro città al di sotto del 20%, includendo nella quota anche taxi e auto in condivisione (oggi sono al 27%). Per raggiungere l’obiettivo, la città ha destinato alla ciclabilità solamente nell’ultimo anno circa 10 milioni di euro, un quarto dei quali sono stati utilizzati per attività di comunicazione rivolte alla cittadinanza (…).
Spendendo gli stessi soldi, e seguendo le logiche progettuali adottate per Viale Tunisia, Milano riuscirebbe a realizzare 10 Km di percorsi ciclabili: decisamente insufficienti per implementare una vera e propria rete ciclabile. Una rete che, come insegnano le migliori prassi europee, deve essere fatta di itinerari continui che garantiscano un collegamento diretto ed efficiente tra nuclei insediativi limitrofi, l’accesso ai principali poli urbanistici di interesse, ai nodi del trasporto pubblico e ai grandi sistemi ambientali.
Come se non bastasse, alla follia economica si aggiunge anche la nonchalance con la quale si è affrontato il tema della sicurezza, che sempre le varie esperienze europee considerano come destinazione prioritaria degli investimenti.
Parlare di sicurezza è un modus cogitandi et operandi: significa che qualsiasi progetto, anche – e forse soprattutto – quello di un percorso ciclabile, deve diventare l’occasione per operare una messa in sicurezza dell’infrastruttura. Rendere sicura una strada significa favorire tutte le utenze, facilitare per esempio l’attraversamento della carreggiata da parte dei pedoni, aumentare la percezione di sicurezza generale, rendere di conseguenza più attraenti modalità di spostamento alternative all’automobile. Allargare l’ottica di intervento, quindi, pensare non solo all’infrastruttura ciclabile ma anche a un ridisegno della strada per ridurre le velocità degli autoveicoli, dare continuità ai percorsi, proteggere gli attraversamenti trasversali e ridurre di conseguenza i livelli di incidentalità.
Sani principi e belle parole, ma nel progetto di v.le Tunisia il tema della sicurezza generale della strada sembra non sia stato affrontato e, nonostante i costi elevatissimi dell’investimento, rimarrà pericoloso attraversare la strada da parte di pedoni e ciclisti per l’eccessiva larghezza della carreggiata e la conseguente velocità troppo elevata dei veicoli a motore.
Tiriamo le somme usando la “trinità” sopra proposta: l’utilità è dubbia (eccetto che sulle strade della rete primaria – che a Milano dovrebbe essere formata dalle circonvallazioni e dalle radiali che collegano la periferia al centro – in città i percorsi ciclabili non dovrebbero essere necessari); l’efficacia è scarsa (la priorità è la sicurezza: se non c’è quella…); l’efficienza è zero (vagonate di soldi per ottenere un risultato discutibile).
Due precisazioni ci premono: la prima riguarda i mugugni, più o meno organizzati e virulenti, dei commercianti di Viale Tunisia contro il progetto in questione. Non condividiamo nessuna delle motivazioni che stanno animando tale protesta, e anzi consigliamo a lor signori di andare a leggere almeno uno dei tanti studi che dimostrano come lo sviluppo della ciclabilità favorisca il commercio locale. Per aiutarli nella ricerca ne citiamo solo uno, svolto dall’agenzia Transportation Alternatives di New York tra il 25 e il 30 giugno 2012 nella zona dell’East Village di Manhattan tramite questionari distribuiti casualmente ai passanti. Lo studio giunge alla conclusione che ciclisti, pedoni e utilizzatori dei mezzi pubblici (bus e metropolitana) sono i cittadini che spendono di più nei negozi, nei bar e nei ristoranti della zona, mentre quelli «motorizzati» lasciano appena il 5% della loro spesa settimanale nelle casse degli esercenti locali. Per di più i “motorizzati” costituiscono meno del 5% dei frequentatori della zona, e sono clienti meno affezionati di ciclisti e pedoni (che, rispettivamente per il 61% e il 58%, visitano gli esercizi locali più di cinque volte a settimana). La spesa pro capite delle tre categorie che costituiscono il 95% dei frequentatori risulta: ciclisti 163$, pedoni 158$, utenti della metropolitana 111$ (meno degli automobilisti, che spendono 143$, i quali, però, sono in netta minoranza come numero e quindi contribuiscono molto meno in termini assoluti).
La seconda precisazione vuole sottrarre il fianco a qualsiasi accusa di disfattismo “a priori” nei confronti dell’attuale amministrazione. È vero che qualcosa finalmente si sta facendo. È vero che la ciclabilità è stata introdotta prepotentemente nel dibattito politico – anche se forse in malo modo, fino a essere diventata agli occhi della gente un feticcio astratto o un antipatico refrain di sinistra. È altrettanto vero che non si può continuare a ragionare con la logica del detto milanese “piutost che niènt, l’è mej piutost”: nel 2014, come cittadini, si deve pretendere che quel che viene fatto venga fatto nel migliore dei modi possibili, e a costi perlomeno in linea con gli standard europei.
Quella sui costi eccessivi delle piste ciclabili “da noi” è una colossale bufala e resta tale anche se viene ripetuta all’infinito.
Egregio Tagliacarne.
Probabilmente qualche volta è davvero una perdita di tempo rispondere.
Tuttavia per me è un imperativo morale e, quasi sempre, anche un piacere cercare di parlare con tutti, soprattutto quando, come in questo caso, posso fornire informazioni corrette al posto di informazioni incomplete, non “aggiornate” o, semplicemente, errate.
Oltre a quanto già detto, ad esempio, la informo sul fatto che l’ufficio Tecnico non ha avuto molto a che fare con la pista di viale Tunisia che è stata pianificata, decisa è voluta dall’Assessorato alla Mobilità il quale ha commissionato progettazione e realizzazione ad MM S.p.A.
L’UT ha comunque condiviso la previsione e l’impostazione progettuale della pista in questione in quanto:
1)Nei paesi civili e avanzati le piste ciclabili sono la base di qualunque politica di promozione della ciclabilità, si fanno soprattutto nelle strade di maggior traffico (come viale Tunisia o i Bastioni) e si fanno più o meno con i criteri di quella in costruzione su viale Tunisia o già realizzata sui Bastioni.
2)Nei paesi civili e avanzati le piste ciclabili servono a tutelare i ciclisti, ma anche anche ad evitare che i ciclisti sfreccino sui marciapiedi, nelle aree pedonali o nei parchi mettendo a rischio l’incolumità e il confort dei pedoni. E’ anche per questo che, in tutto il mondo si fanno piste ciclabili lungo il perimetro dei parchi o affiancate alle aree pedonali e ai marciapiedi.
Quanto all’email del sig. Doniselli le questioni poste sono in buona parte condivisibili ma riguardavano perlopiù questioni come la manutenzione stradale e quella dell’illuminazione pubblica.
Mi sembrava di aver già chiarito all’epoca che il mio ufficio non si occupava e non si occupa di manutenzione ma di progettazione di nuove opere, asseverazioni, specifiche tecniche, costi, e che la mia presenza al tavolo per la ciclabilità era legata esclusivamente a tale ruolo.
Non sono invece abituato a parlare di cose sulle quali non ho né conoscenza certa e diretta, né poteri né responsabilità.
Nei paesi civili e avanzati, le piste costano meno che da noi e forse anche per questo i chilometri realizzati sono molti di più ….. qui siamo in balia del “delirio demagogico amministrativo burocratico” oltre che di un UT “che non ha avuto molto a che fare con la pista di viale Tunisia che è stata pianificata, decisa è voluta dall’Assessorato alla Mobilità il quale ha commissionato progettazione e realizzazione ad MM S.p.A.” (parole di Cogato).
Forse lo stesso UT dovrebbe farsi delle domande e chiedersi come mai la progettazione e la realizzazione sono affidate ad altri …. anche se della stessa famiglia (nel senso azionistico del termine). Saranno semplicemente ragioni politiche o c’è dell’altro?
Citato da Paolo Tagliacarne ricordo che più di un anno fa, dopo una riunione al tavolo della ciclabilità mi sono permesso di mandare una mail a tutti i presenti con alcune mie considerazioni personali che riguardano in generale la sicurezza di chi va in bici in questa Città. Volentieri la rendo nota a chi non avesse avuto l’opportunità di leggerla:
“Considerato che data l’ora non si è potuto fare un giro di tavolo completo per raccogliere commenti, mi permetto ora di fare poche, ma penso necessarie considerazioni.
Premetto che ho utilizzato la bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano dal 1980 ed ho smesso da pochi mesi in quanto una equipe di medici mi ha assolutamente vietato di usare la bicicletta per Milano ( fortunatamente solo per le strade di Milano).
Ma veniamo alle considerazioni:
Il piano presentato lo trovo molto bello, mi ricorda il famoso piano dei 330 km. di Carlo Tognoli degli anni 80, poi rivisto con una proposta del Club del Politecnico ( Franco Corleone) e dell’ANCMA ( dove anche il sottoscritto, facendone parte, preso da entusiasmi, ha collaborato con qualche suggerimento): titolo: Alla Conquista del Giardino di Pietra.
Il problema è che dopo 30 anni ci ritroviamo a ridiscutere lo stesso piano della ciclabilità, che non si sa quando mai potrà essere attuato, in quanto mi par di capire dai giornali che il Comune, nonostante stia facendo cassa con ogni mezzo, non navighi nell’’oro.
Pertanto darei la precedenza a interventi di più semplice attuazione, in quanto il pericolo per chi va in bicicletta non è rappresentato solo dalle automobili:
1) Illuminiamo Milano!. le luci della città sono diventate fioche e in alcuni quartieri mancano addirittura. Le bici non hanno gli anabbaglianti pertanto serve che le vie siano illuminate.
2) Le strade sono disseminate di buche profonde anche 30 cm. e sarebbe urgente sistemarle
3) L’asfalto ai bordi delle rotaie è tutto sollevato oppure è più basso di 5-6 centimetri, si rischia di cadere ad ogni attraversamento
4) I tombini sono più bassi del manto stradale di almeno 10 cm.
5) Le strisce pedonali, ultimamente, quando piove sono come una lastra di ghiaccio.
6) Le poche piste ciclabili “strutturate” sono fatiscenti ( una a caso Via Cimarosai, o Via Dezza), facciamo della manutenzione
( l’Ing. Lucilio Cogato deve trovare una soluzione a questi 5 punti; è più urgente del cordolo della pista che ..… chissà quando si farà)
7) L’80% delle persone alla guida delle auto telefona, e non telefona con il viva voce o l’auricolare, ma tiene il telefono in mano. Se a ognuno di questi venisse ritirata la patente avremmo risolto i problemi del traffico. Ovvero se i Vigili vigilassero ai bordi del marciapiede e non venissero mandati in giro in automobile forse avrebbero più possibilità di fermare questa gente che per il ciclista è un pericolo mortale. E inoltre avrebbero la possibilità di fermare anche chi passa con il rosso o viaggia a 90 km/h. per le vie del centro.
Penso che questi punti siano un primo passo per avvicinarci ad essere una “Città amica delle biciclette” e non un Comune nemico delle biciclette. Oltretutto questi pochi provvedimenti mi sembrano doverosi, quantomeno per rispetto Verso i cittadini. Poi tutto quello che riusciremo a mettere in atto per diventare una vera “Città amica delle biciclette” ben venga.
Mi scuso per essere stato un po’ lungo e magari un po’ polemico, ma ero il più vecchio del tavolo, e quindi spero me lo consentiate.
Cordiali saluti
Marcello Doniselli.”
Un inciso: Un amico che vive a Londra mi dice che per le vie londinesi andando in bicicletta si riesce anche a bere il caffè o mangiare un gelato e non necessariamente sulle piste ciclabili.
L’articolo di Simone è certamente esaustivo e molto chiaro. Chiaro, almeno quanto è lungo. Credo che all’interno dell’ufficio tecnico del comune ci vorrebbe qualche mente giovane e aggiornata in merito alle poche, ma logiche esigenze di chi si muove in bicicletta. Il Cogato non considera una cosa semplicisima: la gerarchia dei luoghi. Nel senso che se un luogo nasce parcheggio, difficilmente potrà ospitare un concorso ippico. E viceversa. Viale Tunisia credo possa essere considerata una arteria a scorrimento veloce (con buona pace delle auto perennemente parcheggiate in seconda fila….basterebbe meno tolleranza e il problema sarebbe risolto) e allora perchè incaponirsi con una pista ciclabile? oltretutto una micro-pista di soli 750m con un costo da spreco di denaro pubblico?
A poche decine di metri, parallela a quella di Tunisia, c’è inoltre la nuova ciclabile dei Bastioni, che corre a fianco dei giardini pubblici….che dire?
Ho partecipato all’incontro promosso dall’Unione Commercianti ascoltando i commenti (negativi) di tutti. Commenti tardivi, quindi inutili, perchè il progetto era ormai avviato. E anacronistici perchè ancora c’è chi si oppone agli indiscussi benefici della ciclabilità, in termini di ricaduta ambientale, acustica, economica etc. etc. Credo che l’ufficio tecnico (più che l’Assessore Maran in persona) abbia quanto mai necesità di “cambiare verso” sull’argomento. Carpe diem noctem quoque.
Cogato non perda tempo a rispondere e mediti su quanto qui si scrive e le abbiamo già scritto tempo fa via mail quando ancora esisteva il tavolo per la ciclabilità (mail a firma di Marcello Doniselli).
Francamente non mi sento sicuro a percorrere in bici viale Tunisia,coi tram in mezzo che “spingono” il traffico delle auto lateralmente… I ciclisti dove vanno? Infatti preferisco sempre transitare sulla parallela via Casati o Palazzi e in ritorno San Gregorio o Castaldi