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Marocco in bici: il viaggio di Francesca

Marocco in bici: il viaggio di Francesca

Riceviamo dalla nostra lettrice Francesca Patti e volentieri pubblichiamo

“Ho trovato il Trail per quest’anno” mi dice mio marito una mattina a colazione, “Il Naturaid Marocco”. Lo guardo molto perplessa e alquanto scettica. In fin dei conti abbiamo pedalato sì tanto, ma sempre dentro i confini della nostra penisola… il Marocco, l’Alto Atlante è tutta un’altra storia. Ma poi, come al solito, dopo il primo momento di smarrimento subentra la sfida verso qualcosa di ignoto.

Preparazione e partenza per il viaggio in bici in Marocco

Così comincia la preparazione fisica, la scelta dell’attrezzatura, lo studio della traccia (ci è venuto un colpo quando abbiamo capito che, dopo aver scaricato le mappe da mettere sul gps, quel vuoto che vedevamo non era perché erano fallate, ma semplicemente perché non c’era nulla da vedere per centinaia di chilometri… non un paese… non una strada… niente di niente!). Ma la sfida sarebbe stata proprio questa, fare 680 km in autosufficienza in un posto dove non c’è NIENTE.

Fare un Trail senza supporto, innanzitutto vuol dire caricare la bicicletta di tutto il necessario, caricare sul gps una traccia che chi ha organizzato il trail vuole che si percorra e partire.

Questa volta il nostro percorso si snodava sulle montagne dell’Alto Atlante marocchino e il deserto del Saghro, per un totale di 680 km. In questo tipo di eventi non esiste un tempo limite, se non quello che ognuno si pone (ad esempio nel nostro caso il volo aereo prenotato) e non esiste nessun supporto dall’organizzazione quindi bisogna essere autosufficienti sia per dormire che per mangiare. E fin qui la parte tecnica. Partiamo in 30 alle 6,00 della mattina, ognuno seguirà il suo passo, ognuno sceglierà il suo ritmo di viaggio: c’è chi cercherà di finirlo nel minor tempo possibile e chi, come noi, decide di gustarsi questa terra così sconosciuta.

Sfide tecniche e accoglienza

Sapevamo che non sarebbe stato facile: il percorso abbastanza scorrevole ma comunque di montagna (abbiamo toccato diverse volte cime tra i 2500 e i 3000 metri) ha messo alla prova le gambe anche più allenate. La difficoltà nel reperire acqua potabile e cibo si è fatta subito sentire nel primo giorno, e ci siamo resi conto che tutto sarebbe stato molto più difficile, oltre ogni nostra previsione.

Poi la sorpresa… quello che ci farà ricordare questo trail per sempre: i berberi. Popolazione di pastori poverissimi, coi loro villaggi montani fatti di argilla e paglia, dello stesso identico colore delle montagne, dove l’acqua corrente e il gas sono un miraggio, dove la luce elettrica, quando c’è, non è per 24h, dove il ritmo delle giornate è scandito dal sorgere e tramontare del sole, dove le strade spesso sono una nuvola di polvere, dove i bambini scalzi chiedono caramelle e penne.

I berberi sono stati la nostra sicurezza, fieri e dall’ospitalità senza eguali ci hanno sfamato, fatto dormire e coccolato in un modo che andava e va oltre la nostra idea di accoglienza. Bastava che ci vedessero fermi e ci offrivano la loro casa, i loro morbidi tappeti su cui dormire, spesso la loro cena, onorati di poterla dividere con noi. In quel momento loro, poveri di tutto, stavano dando a noi, loro ospiti, tutto il loro essere, facendoci sentire al sicuro.

Una sensazione che non ci abbandonerà mai più… dal primo incontro il nostro viaggio è trascorso più sereno, sapevamo che ogni porta bussata sarebbe stata aperta da qualcuno che non si sarebbe posto il problema di avere sconosciuti in casa, ma sapeva che avrebbe avuto degli ospiti da trattare come familiari.

Il senso del viaggio in Marocco

Alla fine del viaggio, dopo 5 giorni e 10 ore, ognuno di noi sapeva che avrebbe lasciato un pezzo di cuore in quelle terre, ma che avrebbe portato via qualcosa che rimarrà sempre. Come in un album fotografico ci sono delle istantanee che racchiudono l’essenza di questa nostra avventura: il tramonto sulle rosse montagne della Valle delle Rose, gli strapiombi vertiginosi su microscopici fiumi, i villaggi di argilla e paglia, il rumore delle pietre che le donne usano per lavare i panni nei fiumi, il profumo delle mele, gli occhi dei bambini guardiani di capre a 3000 mt, il suono di un flauto nel silenzio delle montagne, la sterminata distesa del deserto dove ogni riferimento finisce con la sottile linea dell’orizzonte.

Mai avremo pensato che questa terra entrasse dentro di noi con tanta dirompenza, che si insinuasse dentro ogni nostra piega come la polvere che per giorni ci ha accompagnato, che ci facesse pensare a quanto noi abbiamo e a quanto noi diamo, che un popolo così povero ci donasse il poco aveva perché in quel momento noi eravamo più poveri di loro, un popolo che ci facesse ricordare in modo così profondo quanto sia più importante essere che avere.

Commenti

  1. Avatar andrea ha detto:

    Ciao Umberto, lunedì partirò per il Marocco. Mi farebbe piacere scambiare due parole con te e avere qualche consiglio da parte tua. Ci possiamo sentire? Grazie

  2. Avatar Francesca Bonanno ha detto:

    fantastico viaggio, l’ultima volta che io e il mio compagno siamo partiti non siamo risuciti a portare con noi dei souvenirs. Questo mi ha molto intristito perchè un paese così nei suoi mercati è pieno di oggetti di splendidi. Fortuna sono riuscita a trovare un rivenditore e un tappeto in stile l’ho acquistato qui in Italia

  3. Avatar umberto ha detto:

    Condivido pienamente tutto quello che avete provato. Più o meno ogni anno faccio un viaggio di due settimane in Marocco, cambiando tra i tanti itinerari possibili e sempre rimanendo estasiato dai paesaggi e dalla ospitalità della gente. Ogni volta mi sento a casa, certo di poter contare su aiuto, ospitalità e supporto da pastori e agricoltori bervberi, tanto poveri di beni qunto ricchi di spirito ! E ogni volta che torno provo a spiegare ai miei tanti connazionali , diciamo Ignoranti, cosa può significare la parola “marocchino”…

  4. Avatar Barbara ha detto:

    Ma che belle emozioni! Grazie per averle condivise con noi

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