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Settimana Europea della Mobilità post-Covid: la prima di una nuova Era

Settimana Europea della Mobilità post-Covid: la prima di una nuova Era

Come ogni anno a settembre torna la Settimana Europea della Mobilità: un periodo di sette giorni promosso dalla Commissione Europea in cui molte associazioni e realtà attive nella promozione di uno stile di vita più sano e rispettoso dell’ambiente cercano meritoriamente di convincere il prossimo che un altro modo di spostarsi – meno inquinante e più sostenibile – è auspicabile anche nelle restanti 51 settimane dell’anno (come avevo avuto modo di scrivere in tempi non sospetti).

Ma per la diciannovesima edizione, in questo 2020 in Europa e soprattutto in Italia, ci troviamo in un contesto molto diverso dai precedenti e, per certi versi, insolito: la pandemia e il lungo lockdown ci hanno già traghettato in un’altra Era, quella del post-Covid e la mobilità “normale” non può più essere quella del passato.

Lo ha dichiarato anche la Commissaria per i Trasporti Adina Vălean: “Quest’anno le nostre città affrontano una grande sfida, ma la pandemia ha anche evidenziato che i cittadini apprezzano e si aspettano città più sicure, più pulite e accessibili a tutti. Per tutta la settimana e oltre, le città partecipanti da tutta Europa ci mostreranno come potrebbero essere le città europee, più verdi e più digitali“.

Sono cambiate molte cose in questi mesi: abitudini consolidate sono state rimesse radicalmente in discussione (dalla stretta di mano, ai baci e agli abbracci, per non parlare degli open space), la necessaria distanza fisica per contenere la pandemia ha dimezzato la fruibilità dei mezzi pubblici e, in molti casi, raddoppiato le attese alla fermata. Le amministrazioni stanno cercando di “spalmare” le ore di punta – prima concentrate solo al mattino e alla sera – nel corso della giornata con ingressi al lavoro e a scuola scaglionati per evitare il collasso da traffico motorizzato. Ma si tratta al momento di semplici palliativi: oggi abbiamo capito che possedere 2/3 auto per famiglia e abusarne per fare commissioni e/o coprire distanze fattibili anche a piedi e in bicicletta non solo non è socialmente accettabile ma “spazialmente” non è possibile.

In questi anni – sì, anche negli ultimi 19 in cui per una Settimana Europea della Mobilità ci siamo raccontati che “un’altra mobilità è possibile” salvo poi dimenticarcene nelle restanti 51 – in una sorta di rimozione collettiva di chi sta andando dritto verso il baratro ma continua a guardare indietro.

Le nostre città hanno continuato a svilupparsi a dismisura consumando suolo, la nostra viabilità (salvo rarissime eccezioni) è rimasta nel solco del più vieto autocentrismo, la difficoltà con cui si è messo mano (e solo in parte) al Codice della Strada con provvedimenti sacrosanti – come le corsie ciclabili su carreggiata, il senso unico eccetto bici e gli autovelox urbani – dimostra lo scollamento dalla realtà in questi ultimi 19 anni: peraltro in una situazione in cui, come Italia, scontiamo un ritardo di circa 45 anni rispetto ai Paesi ciclisticamente avanzati. Siamo in ritardo di quasi due generazioni e il tempo a disposizione per cambiare radicalmente le nostre abitudini non può più aspettare.

La pandemia è stata devastante, ci ha sconvolto ma al contempo ci ha costretto a ragionare: ci ha imposto di riflettere sugli errori del passato e del presente, è stata un forte monito per non ripeterli in futuro. Saremo così bravi da imparare dai nostri sbagli e modificare il nostro impatto sul pianeta? Mi auguro che, davvero, questa Settimana Europea della Mobilità post-Covid rappresenti la prima di una nuova Era, quella della consapevolezza e del cambiamento sul lungo periodo. Se prima l’alternativa era auspicabile e possibile, oggi appare quantomai necessaria e improcrastinabile.

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